Alberto Morelli Tangatamanu / Studio Azzuro La produzione musicale per il multimedia Intervento dell'11 giugno 2010 all'interno della manifestazione "We Art Technology, Multimedia per la cultura" a cura del Consorzio A.S.T., Vigevano (PV), Italy. |
Sono stato invitato a parlare di produzione musicale nell'ambito della multimedialità. Il mio intervento è uno fra i tanti che scandiscono questa manifestazione il cui slogan è un gioco di parole che unisce l'idea di collettività all'atto creativo e alla tecnologia: we art technology. In questa sede cercherò non tanto di fornire una spiegazione esaustiva del termine "produzione musicale" nel contesto del multimedia, intendo piuttosto aprire orizzonti di riflessione intorno al suono nella multimedialità. Quindi cominciamo a introdurre alcune parole chiave che toccheremo in questa breve indagine intorno alla "produzione musicale e multimedia": Musica Arte Media Tecnologia Condivisione Queste cinque parole/concetti fanno parte del processo che mi vede "produttore di musica" per opere multimediali quali possono essere progetti museali sensibili e partecipativi, piuttosto che progetti avulsi da un obiettivo formativo come per esempio opere di videoarte, installazioni interattive, performance, opere audiovisive e film. E qui comincio a porvi quesiti: potete darmi, come se io fossi un bambino, una definizione di musica? (a seguire riporto in sintesi alcune risposte dei partecipanti) - ha che fare col suono, col bello, con il piacere ... e con le emozioni - la musica è colonna sonora della vita oltre che di opere multimediali - è arte assoluta ... è una cosa che in molti non riescono a fare - qualcosa da cui trarre piacere ma è anche un universo da scoprire - è tutto l'udibile a livello sensoriale che nasce dall'interiorità umana - è vibrazione prima di tutto ... vibrazione dell'aria che poi diventa vibrazione dell'anima ... non tutto ciò che è musica è Arte ma l'Arte è un valore aggiunto anche in musica - Musica è qualcosa da ascoltare ... è un linguaggio organizzato - la musica per me rimanda all'ascolto di tutto ciò che ci circonda - anche per me è vibrazione, è tutto ciò che può essere udibile .. anche un rumore può essere musica .... è impossibile definire i confini di ciò che è o non è musica - musica è un'alchimia perfetta tra suono ed emozione E quando si parla di musica si parla anche del suo opposto: il rumore. Cos'è per voi rumore? (le risposte si concentrano principalmente intorno a queste tipologie riportate a seguire) - rumore è tutto ciò che da fastidio - ... ma il rumore può far parte della musica se utilizzato in un modo adeguato... il ticchettio della pioggia può essere un rumore piacevole o spiacevole a seconda del contesto - il rumore rimanda alla assenza di regolarità della vibrazione Bene, qua e là si percepisce una certa tendenza relativista ma nel contesto mi sembra di cogliere una chiara distinzione fra musica e rumore. Nell'ambito della mia esperienza di "produttore di musica per il multimedia" questa separazione fra rumore e musica l'ho spesso trovata limitante. L'idea del rumore versus musica rimanda a una definizione manicheistica del mondo sonoro. Da parte mia sono convinto che nella contemporaneità il manicheismo sia una specie di freno a mano tirato in curva mentre si viaggia in piena velocità, e questo vale per diversi ambiti, non solo per quello legato alla "musica" nel contesto della multimedialità. La nostra contemporaneità ci mostra l'inclusività come possibile attitudine per uscire dallo stallo della crisi, crisi culturale ed esistenziale oltre che economica. Che ci piaccia o no noi stiamo facendo i conti con le differenze: culture fra loro differenti si sono avvicinate a volte forzatamente e senza mediazioni, producendo un nuovo e ancora instabile assetto sociale, economico e culturale. Noi ci misuriamo sempre di più con ciò che prima era considerato fastidioso e genericamente da rifiutare, da buttare. Pensiamo per esempio agli scarti del processo produttivo: siamo obbligati a riciclare i nostri stessi rifiuti per evitare di esserne sommersi, stiamo cercando il modo di integrarli costruttivamente nel nostro ciclo esistenziale. Questa attitudine inclusiva riflette ciò che è già avvenuto nell'arte a partire dai primi del 1900. Arte visiva ma anche arte legata al suono, e quindi anche in quella che chiamiamo "produzione musicale" nel multimedia ... il termine musicale effettivamente mi va un po' stretto, chiamiamolo d'ora in poi "produzione del flusso sonoro per opere multimediali" ... il termine flusso sonoro è più inclusivo.
Megalopoli - Less Aesthetic, more Ethics è una installazione sincronizzata per 39 schermi, realizzata da Studio Azzurro per la VII Biennale di Architettura del 2000 a Venezia, intorno al tema della città contemporanea. Un flusso di immagini e di suoni che si distribuiscono per una lunghezza di 250 metri e da cui si sviluppano racconti, associazioni e panorami estrapolati da 10 megalopoli (Mosca, Manila, Cairo, Taipei, Hong Kong, Shanghai, San Paolo, Las Vegas, Città del Messico, Calcutta) e dall'archivio di RAISAT. Il materiale girato, catturato da tre troupe video, comprendeva anche dei field recording di suoni d'ambiente (interni di stazioni, aeroporti, mercati, flussi sonori prelevati da radio e televisioni locali, annunci di speaker nei grandi magazzini e nelle metropolitane, oralità catturate per strada, preghiere e canti prelevati dai luoghi sacri, ... ). Questo materiale, assieme ad alcune registrazioni d'archivio (canti e musiche originarie raccolti in loco) diventava l'elemento base da cui partire per comporre la sound track di Megalopoli. Queste sonorità venivano poi elaborate attraverso procedimenti elettronici ed implementate da interventi strumentali registrati ad hoc. Qui si nota chiaramente l'attitudine inclusiva rispetto all'elemento "rumore", infatti sono i flussi rumorosi degli ambienti delle megalopoli a costituire il principale materiale per questa composizione. Abbiamo parlato di "attitudine inclusiva dell'arte", mi permetto di fare un piccolo balzo indietro nel tempo perchè questa apertura al "rumore" da parte del blindato mondo della musica ha origini lontane, una lontananza non solo temporale ma anche contestuale. Per arrivare all'inclusività "artistica" bisogna guardare a un significativo ed esclusivo fenomeno storico, economico e sociale che, a partire dall'Inghilterra del XVIII secolo, determinò un riassetto a tutto tondo del mondo occidentale, e conseguentemente di tutto il pianeta: la rivoluzione industriale. Come sapete questa rivoluzione mutò radicalmente valori e stili di vita fino ad allora vigenti. Un caso fra tutti è quello della concentrazione di popolazione in zone urbane sempre più importanti e in cui si sviluppava l'industria. La nascita di opifici e successivamente di grossi nuclei industriali orientava necessariamente la possibilità di sopravvivenza delle persone che, fino ad allora, si sostentavano con l'agricoltura. Ne segue una diaspora che, a flussi variabili, porterà da un lato a un progressivo abbandono delle campagne, e dall'altro all'introduzione nelle campagne stesse di quei procedimenti meccanici di lavorazione tipici dell'industria, per far fronte alla necessità di aumentare la produzione agricola utilizzando un limitato numero di braccianti. Non descriveremo nel dettaglio tutti i cambiamenti apportati da questa rivoluzione, ci soffermeremo piuttosto su quei mutamenti che hanno segnato acusticamente questo periodo storico, prolungandosi fino al secolo successivo e oltre. Murray Schafer, studioso dei mutamenti del paesaggio sonoro del nostro pianeta, ci fornisce un elenco cronologicamente ordinato di alcune invenzioni che hanno segnato acusticamente, ma non solo, il XVIII secolo: 1711: Macchina da cucire Non è difficile immaginare come queste invenzioni abbiano progressivamente cambiato il profilo del paesaggio sonoro dell'occidente. Il nostro vivere da persone umane si inserisce per necessità in una relazione dinamica e dialettica con l'ambiente. La sensibilità estetica non poteva perciò essere immune a questi cambiamenti. Così il vivere immersi in questi flussi sonori sempre più fatti di ritmi concitati, sbuffi, stridii, bordoni meccanici e quant'altro acusticamente offriva questo nuovo ambiente dell'industria, aveva per necessità una ricaduta su ciò che fino ad allora si intendeva come Suono, Rumore e Musica.
Quello che abbiamo appena ascoltato non è un field recording realizzato all'interno di un vecchio opificio ma è l'incipit di una composizione futurista di Luigi Russolo, scritta nel 1913, eseguita e registrata alla Biennale di Venezia nel 1977. Gli strumenti utilizzati per questo brano che ha quasi cento anni sono gli intonarumori ![]() Luigi Russolo e Ugo Piatti fra gli intonarumori nel laboratorio di in via Stoppani a Milano Luigi Russolo, pittore futurista nonché appassionato sperimentatore ed inventore di macchine sonore, segnò col suo manifesto L'arte dei rumori, il cambio di prospettiva che avviò l'inclusione dei "rumori" nel mondo della "musica". Apparso nel 1913, a quattro anni dalla pubblicazione del manifesto futurista di F.T. Marinetti, L'arte dei rumori è permeata dalla poetica tecnologicamente orientata che caratterizza il futurismo. All'alba del XX secolo Russolo ci dice che non è più possibile pensare al mondo sonoro secondo principi che valevano nei secoli precedenti. Il mondo è cambiato e con lui il suo profilo acustico. In musica questo mutamento rimanda alla necessità di ampliare la tavolozza timbrica, ritmica ed espressiva del compositore del XX secolo. Di qui la conseguente necessità di creare nuovi strumenti che permettano di inserire i suoni della contemporaneità nelle composizioni del nuovo secolo. Ecco un estratto da L'Arte dei rumori estremamente esplicativo della poetica inclusiva di Russolo: "L'arte musicale ricercò ed ottenne dapprima la purezza, la limpidezza e la dolcezza del suono, indi amalgamò suoni diversi, preoccupandosi però di accarezzare l'orecchio con soavi armonie. Oggi l'arte musicale, complicandosi sempre più, ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l'orecchio. Ci avviciniamo così sempre più al suono-rumore." (in Maffina, p. 130). Russolo si pose l'obiettivo di organizzare i rumori alla stregua dei cosiddetti suoni musicali. Di qui la sua attività oltre che teorica anche pratica, che lo portò a brevettare e creare oggetti sonori in grado di intonare i rumori della modernità: gli intonarumori e il rumorarmonio. Russolo si preoccupò inoltre di organizzare questi strumenti per famiglie di rumori, con l'idea di utilizzarli alla stregua di strumenti per un'orchestra futurista. L'interesse suscitato nelle avanguardie del tempo da questa poetica e dai nuovi strumenti futuristi, è testimoniato dalla considerazione positiva che Russolo ebbe da figure come Igor Stravinsky, Arthur Honegger, Maurice Ravel, Darius Milhaud, Alfredo Casella, Manuel De Falla, Sergej Pavlovi Djaghilev, Piet Mondrian, che scrisse un articolo sugli intonarumori per il numero 9 del settembre 1921 di De Stijl, ed Edgar Varèse, che fece una presentazione per un concerto di Russolo per rumorearmonio e arco enarmonico tenutosi il 28 dicembre 1929 alla Galerie 23 di Parigi. Edgar Varèse, figura di riferimento per la musica del Novecento, presenta alcune affinità con la poetica di Russolo, quando per esempio afferma che "quel che cerchiamo è uno strumento che sia in grado di produrre un suono continuo a qualsiasi altezza. Per ottenerlo, il compositore e l'elettricista dovranno forse lavorare insieme. In ogni caso, non possiamo continuare a lavorare con i timbri della vecchia scuola. Velocità e sintesi sono caratteristiche della nostra epoca. Ci sono necessari strumenti del XX secolo, perché le possiamo realizzare in musica" (Varèse, p. 42). Oltre ad essere pioniere della musica elettronica Varese partecipò, in qualità di compositore, alla realizzazione della prima opera multimediale del XX secolo: Il Poéme Électronique
![]() Ideato per il Padiglione Philips all'Expo di Bruxelles del 1958, il Poème Électronique fu un progetto concepito dall'architetto Le Corbusier. Per questo progetto il grande architetto francese ebbe la collaborazione dell'architetto e compositore Yannis Xenakis e del musicista e sperimentatore Edgar Varèse. Con il Poéme Électronique, prima opera multimediale dell'era elettronica, lo spazio architettonico diventa spazio esperienziale che interagisce con flussi di luci, di immagini e di suoni, divenendo un unicum immersivo per chi lo attraversa. Il Padiglione Philips visto in pianta si presenta come uno stomaco, con una entrata ed una uscita da cui transitano i visitatori, una struttura che già dalla sua forma suggerisce l'idea di organismo e di trasformazione. Come uno stomaco questa struttura architettonica ingloba e matabolizza linguaggi espressivi diversi sintetizzandoli in un unico elemento. Il Padiglione si sviluppava in altezza con forma paraboloide iperbolica, un volume progettato ad hoc per poter contenere al suo interno flussi di immagini, luci e suoni, uno spazio pensato come una gigantesca cassa armonica, in cui il suono veniva spazializzato grazie a un sistema di distribuzione su 425 diffusori audio. Il Poéme Électronique, che per Le Corbusier doveva fornire in 8' una sorta di riflessione intorno all'umanità, alla sua storia e al suo possibile futuro, è diviso in sette sequenze successive: Genesi (da 0 a 60”), Di materia e di spirito (da 61” a 120”), Dall’oscurità all’alba (da 121” a 204”), Divinità fatte di uomini (da 205” a 240”), Così formano gli anni ( da 241” a 300”). Armonia (da 301” a 360”) E per donare a tutti (da 361” a 480”). Il flusso sonoro composto da Varèse seguiva la drammaturgia suggerita dal filmato di Le Corbusier attraverso l'utilizzo di sonorità elettroniche e suoni concreti. Questa sua estetica musicale generò nella committenza un certo disappunto, come ricorda lo stesso Varèse: "alla signora Philips ... non piacque nemmeno un frammento che X ha fatto ascoltare ... verdetto: non c'è melodia-non c'è armonia. Questi signori, a quanto pare, vorrebbero sbarazzarsi di me ... " (Varèse, pg 149) Certamente Varèse e Russolo si preoccupavano entrambi, ma con risultati diversi, di includere nell'idea di suono quel mondo di eventi acustici fino ad allora esclusi come fastidiosi, volgari e perciò inadeguati alla "sacralità" della musica. I due pionieri della nuova musica erano accomunati, oltre che dalla preoccupazione inclusiva per i rumori, anche dalla volontà di controllare queste nuove sonorità. Di qui la necessità di creare strumenti per poter facilmente plasmare questi suoni, piegandoli alla volontà espressiva del compositore. Differente, seppur accomunata da un atteggiamento inclusivo nei confronti dei cosiddetti "rumori", fu la posizione di altri due compositori, distanti per epoche storiche ma molto vicini per attitudine: Erik Satie e John Cage. Se da un lato Russolo, e soprattutto Varèse, volevano piegare le nuove sonorità alla volontà del compositore, Satie e Cage aprirono la musica all'ambiente circostante, riconoscendo nel fluire sonoro del paesaggio un elemento già di per sé "musicale". "Ogni rumore ci sembrava che potesse diventare musicale per il solo fatto che lo si faceva entrare in un pezzo musicale", con questa citazione di John Cage (1977, pg 72) voglio introdurvi all'ascolto di un estratto dal flusso sonoro dell'installazione Il Sentiero Sonoro, per undici tripodi sonori interattivi e ambiente naturale, realizzata da Tangatamanu per il sito archeologico di Pani Loriga (Santadi-Cagliari) su progetto Studio Azzurro-Space.
Quello appena ascoltato è un estratto dal flusso di una installazione audio pensata per il sito archeologico nuragico-punico-fenicio di Pani Loriga. Questo sito è ubicato in una zona che è già di per sè ricca di suoni, suoni di cicale, vento, voci in lontananza, un luogo aperto in cui è possibile ascoltare la natura. La progettazione del flusso sonoro per questa installazione doveva perciò tenere conto della possibilità di interagire con questo livello sonoro di per sè residente, e che molto probabilmente è rimasto quasi invariato per millenni. All'intento di restituire, a seguito di un approccio archeomusicologico, le sonorità primitive del sito, si aggiungeva quindi la possibilità di far dialogare queste sonorità arcaiche (antichi strumenti suonati su scale modali, frammenti di frasi in lingua fenicia, .... ) con i suoni d'ambiente. L'interazione fra questi due livelli sonori è attivata dai visitatori grazie a un sistema che rileva la presenza degli stessi. Le sorgenti sonore coincidono con dei tripodi interattivi posizionati in prossimità di zone significative dal punto di vista archeologico. Questi tripodi sonori interattivi diventano perciò anche segnali per i visitatori e contemporaneamente restituiscono un flusso sempre diverso fatto appunto di sonorità arcaiche e di suoni d'ambiente. La matrice poetica ed estetica de Il sentiero Sonoro è senz'altro ascrivibile a Satie e alla sua Musique d'Ameublement. Nato nel 1866 a Honfleur, in Normandia, Satie attraversa musicalmente la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, lasciando un significativo segno sul modo di intendere musica e arte, e giocando un ruolo centrale nello sviluppo del discorso intorno al rapporto suono-rumore-musica. Il nucleo di questo suo lascito lo troviamo principalmente nello scritto Musique d'Ameublement, datato 1920, e negli sviluppi ad esso correlati. Satie, con il piglio ironico che lo contraddistingue, riflette sulla possibilità di una musica d'arredamento, con funzioni analoghe al comfort nelle sue molteplici applicazioni. In Musique d'Ameublement Satie afferma di voler "produrre una musica dichiaratamente utilitaria. L'Arte è un'altra cosa. La Musique d'Ameublement crea una vibrazione; non ha altro scopo. Ha la stessa funzione della luce, del calore e del comfort in tutte le sue forme. La Musique d'Ameublement sostituisce vantaggiosamente Marce, Polke, Tanghi, Gavotte e via dicendo. Esigete la Musique d'Ameublement. Niente più riunioni, assemblee e simili, senza Musique d'Ameublement. Musique d'Ameublement per notai, banche e via dicendo ... ." (ibidem, p. 41- 42). E' innegabile che, dietro l'invito paradossalmente ironico di Satie, vi sia una lucida intuizione confermata dall'uso che a tutt'oggi viene fatto della musica. Dai grandi centri commerciali ai negozi di lusso, dalle banche agli ascensori degli hotel, ovunque la musica viene utilizzata, o forse è meglio dire abusata, con l'intento di creare un flusso sonoro confortevole e discretamente avvolgente, alla stregua della luce o degli arredi.
Brian Eno, musicista inglese tutt'ora vivente, ha attinto da questa attitudine progettando musiche d'ambiente capaci di includere tutto ciò che nell'intorno accade. Una delle sue composizioni più inclusive è Music for Airport, pubblicata nel 1978; una musica progettata ad hoc per essere diffusa in un aeroporto, una composizione aperta, senza un inizio e una fine, capace di accogliere le sonorità inaspettate degli annunci dei voli, il vociare dei passeggeri, i rullii generati dai carrelli e dai tapis roulant che trasportano i bagagli. Una musica rilassante capace di stemperare lo stress della velocità e delle attese correlate a una partenza o un arrivo in aeroporto. Questa applicazione funzionale della musica venne realmente realizzata al terminal de La Guardia airport di New York.
In molti lavori di Brian Eno troviamo la matrice Eric Satie, matrice che oltre all'idea di una musica-design aggiunge una attitudine inclusiva. Il pittore Fernand Léger, amico di Satie, ricorda il pensiero dell'inventore della "Musica d'Ambiente" il quale affermava che "bisognerebbe comporre una musica d'arredamento, che conglobasse i rumori dell'ambiente in cui viene diffusa, che ne tenesse conto. Dovrebbe essere melodiosa, in maniera da addolcire il suono metallico dei coltelli e delle forchette, senza troppo imporsi, però, senza volervisi sovrapporre. Riempirebbe i silenzi, a volte pesanti, tra i commensali. Risparmierebbe il solito scambio di banalità. Neutralizzerebbe, nello stesso tempo, i rumori della strada che penetrano, indiscreti, all'interno" (in La Revue Musicale, n. 214, giugno 1952). L'ambiente, con il suo naturale e incessante flusso sonoro fatto di rumori diventa così non più un avversario da isolare ma un terreno fertile da cui cogliere nuova linfa per la musica. Satie diventa, per la nuova musica, la chiave con cui aprire le blindate porte delle sale da concerto e Cage moltiplicherà ulteriormente questa attitudine inclusiva. Cage porterà alle estreme conseguenze questa attenzione nei confronti dei suoni d'ambiente nel 1952, con la composizione 4'33", brano suddiviso in tre movimenti silenziosi per la durata complessiva, appunto, di 4'33". ![]() John Cage - visione della partitura di 4'33" Provate ad ascoltare questo brano in un momento e in un luogo che più vi aggrada, non c'è bisogno di un particolare apparato di diffusione o di uno speciale strumento, piuttosto è necessaria una disponibilità all'ascolto. Ora vi inviterei ad ascoltarne il primo movimento, un minuto e trentuno secondi in cui le nostre orecchie si aprono all'ambiente in cui siamo immersi. ascolto del primo movimento di 4'33" E' un brano irripetibile, ogni sua esecuzione è sempre diversa. Apparentemente ironico, 4'33" pone il fuoco sulla necessità di ascoltare. Scandalo silenziosamente rumoroso, 4'33" è stato odiato da molti per il suo presunto nichilismo ed annientamento della musica intesa come frutto di un processo creativo generato dalla figura del compositore; in realtà i suoi movimenti silenziosi sono un invito ad aprire il processo creativo al mondo circostante. 4'33" non è solo un brano silenzioso, è un manifesto. L'attenzione all'ascolto rimanda alla possibilità di riconnettersi alla Natura, non per sospendere la propria attività umana, piuttosto per armonizzarla con un contesto che include questa stessa attività. In questa attenzione all'ascolto muta l'idea di caso, non più inteso come disordine annientatore ma come chiave per l'apertura a un nuovo modo di intendere la Natura. Il silenzio, amplificato nella "silenziosa" composizione 4'33", rimanda alla messa fra parentesi di un a priori, alla sospensione di una volontà che possa piegare i suoni già di per sé esistenti nell'ambiente. La riflessione cageana sulla musicalità del flusso sonoro naturale si può ampliare alla questione ecologica: perché confermare un ambiente sempre più inquinato acusticamente, riempito di flussi sonori che sovrapponendosi fra loro diventano indistinguibili l'uno dall'altro, un ambiente in cui il nostro orecchio si prolunga in solipsistici oggetti sonori (walkman, lettori MP3, ...) e in cui il nostro corpo annega in flussi musicali finalizzati all'intrattenimento e al consumo? Non è forse meglio ascoltare e di conseguenza agire svuotando anziché riempiendo? Con Russolo i rumori entrano nelle soluzioni ritmico-armoniche delle nuove musiche e ne ampliano le possibilità timbriche. Oggi molta musica che ascoltiamo è permeata della sua sensibilità. L'utilizzo delle sonorità concrete, e la relativa possibilità di controllarne i parametri, attraverso l'uso dei campionatori, porta con sé l'imprinting di Luigi Russolo. Con Satie si è aperta la possibilità di pensare alla musica come a un oggetto d'arredamento, un flusso sonoro non necessariamente espressivo, piuttosto funzionale. Di più con Satie si è presentata la possibilità di reintegrare, in una forma ludica e non intellettualizzata, i suoni dell'ambiente circostante con i suoni umanamente organizzati e comunemente chiamati "musica". Da Cage in poi non sarà più possibile pensare a una separazione netta fra Suono, Musica e Rumore. Collegandosi a Russolo e in special modo a Satie, Cage ci porta ad ascoltare ciò che ci circonda e a trovarne il senso musicale. Questa progressiva apertura all'ambiente circostante e ai "rumori" ci fa pensare a un processo di inclusione certamente comune a tutta la storia dell'arte contemporanea, ma che va ben oltre la problematica prettamente estetica. Il progressivo recupero degli scarti, che nell'ambito delle arti visive vede nei Merzbild di Schwitters e nei Ready made di Duchamp degli esempi paradigmatici, lo troviamo nella musica con Satie, Russolo, Varèse e Cage.
Una attitudine, questa, che segna il progredire del secolo trascorso anche per quel che riguarda gli scarti del processo produttivo. Dopo aver prodotto quantità di materiali la cui degradabilità supera la nostra stessa vita, ora ci troviamo a fare i conti con questi rifiuti non più celabili. Ecco che la problematica estetica sollevata nella prima metà del secolo trascorso anticipa e prefigura un problema di carattere ecologico con cui noi ci misuriamo quotidianamente. Forse questa anticipazione e prefigurazione estetica di un problema ecologico ci fornisce anche la sua possibile soluzione, per altro già avviata da alcuni anni a questa parte: considerare gli scarti non più come un problema ma come una risorsa. Così nella cosiddetta "produzione musicale nel contesto multimediale" è sempre utile tener conto di questa apertura all'ambiente e alle sue risorse sonore, così come è necessario considerare i media, le tecnologie, come elementi centrali nella progettazione del flusso sonoro. Marshal McLuhan, culturologo canadese che visse nel secolo appena trascorso, affermava che i media sono funzioni mediatrici fra l'uomo e l'ambiente, capaci di veicolare esperienze. Tra uomo e ambiente, quindi, si trova una interazione particolare capace di trasportare e trasformare l'esperienza. Tecnologie, questo è il nome con cui possiamo semplificare questa interazione. Tecnologie che ci mettono in relazione con l'ambiente e che permettono di prolungarci attraverso di esse. La corporeità è già di per se il primo media, la prima forma di interazione con l'ambiente. McLuhan chiama questa modalità con differenti termini: metafora, medium, media. Non si tratta di oggetti o entità ma piuttosto, come precisa Barilli (1981) di funzioni. Ma se la corporeità è di per sé media, risulta ovvio come i media non siano neutri ma piuttosto formino e orientino l'esperienza. Rimanendo sull'esempio della corporeità come primo media, se il corpo di un bambino si distingue da quello di un adulto, e quello di una donna da quello di un uomo, e quello di un uomo in salute da quello di un uomo ammalato, sarà chiaro che ogni corporeità porterà con sè una particolare esperienza del mondo. McLuhan sottolinea che i medium non servono a comunicare, sono metafore e metaphérein significa trasportare. Quindi i medium semplicemente trasportano e trasformano l'esperienza. Così anche i medium-tecnlogie-prolungamenti del nostro corpo orientano la nostra relazione con l'ambiente: la luce elettrica, per esempio, è la funzione-veicolo formativo della nostra esperienza che ha radicalmente abbattuto il potere secolare del tempo scandito dal ciclo del sole e della luna. Noi possiamo lavorare, studiare, passare il nostro tempo libero dentro e fuori dalle nostre case a dispetto della presenza o dell'assenza del sole. La nostra esperienza di uomini e donne dell'era elettrica sarebbe radicalmente diversa se ci si trovasse di colpo in un ambiente in cui è assente la funzione-medium-metafora elettricità. In questo continuo interagire con l'ambiente ci prolunghiamo nei medium e in questo prolungarci variamo di volta in volta il nostro specifico esistenziale, variamo il nostro essere al mondo. l'inserimento delle tecnologie elettroniche che promuovono l'interazione sono una ulteriore risorsa nella progettazione del flusso sonoro di un'opera multimediale.
Quella che abbiamo appena visto è la documentazione della videoinstallazione interattiva Il bosco, per un prato vero e cinque alberi sintetici. L'ambientazione video ricostruisce uno spazio a metà strada fra il reale e l'artificiale, in cui tecnologie elettroniche si fondono con il recupero di antiche pratiche: sussurra il tuo segreto nel cavo di un albero! Era questo un arcaico modo di interagire con la natura, usanza diffusa in molte culture che poneva in relazione l'elemento umano con quello vegetale. L'albero diventava un confidente magico che permetteva alla persona di liberarsi da ancestrali timori e di entrare meglio in sintonia con i luoghi in cui avrebbe vissuto. Il pubblico, aggirandosi nel "bosco", interagisce con esso attraverso sussurri e grida. Le fronde degli alberi reagiscono a questi richiami, fiorendo e sviluppandosi a velocità incredibile e riproponendo un mondo fantastico sospeso fra favola e realtà. Il flusso sonoro è costituito da field recording realizzati nella valle dei Mocheni, in provincia di Trento; elaborazioni di canti tradizionali, richiami di pastori, racconti, favole e filastrocche narrate dalle voci degli anziani e dei bambini che vivono in quella valle, tracce di memoria che parlano del rapporto fra uomo e natura e che possiamo richiamare sussurrando nel tronco di un albero sensibile. L'interazione promossa dalle tecnologie elettroniche apre quindi alla condivisione, il che però non vuol dire che è sufficiente utilizzare un sistema interattivo o collegarsi in internet per condividere e migliorare il mondo. Piuttosto è necessario avere consapevolezza delle specificità dei media in cui ci prolunghiamo. Se, come insegna McLuhan, i media sono prolungamenti del nostro corpo, allora bisogna considerarli come elementi costitutivi della nostra vita e come tali richiedono da noi una assoluta attenzione e consapevolezza ... i medium ci chiedono di essere autocoscienti. Bibliografia suggerita ATTALI J. (1978) Rumori. Saggio sull'economia politica della musica, Mazzotta, Milano, (ed. originale 1977). BARILLI R. (1981) Tra presenza e assenza, due ipotesi per l'età postmoderna, Bompiani, Milano CAGE J. (1971) Silenzio, antologia da "Silence" e "A Year from Monday", Feltrinelli, Milano. CAGE J. (1977) Per gli uccelli, Multhipla, Milano (ed. originale 1976). MAFFINA G. F. (1978) Luigi Russolo e L'arte dei rumori, Mortano, Torino. McLUHAN M. (1982) Dall'occhio all'orecchio, Armando, Roma. McLUHAN M. (1986) Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano (ed. originale 1964). MORELLI A. SCARANI S. (2010) Sound Design, progettare il suono, Pitagora, Bologna. ORTOLEVA P. (2008) Prefazione a "Gli strumenti del comunicare", in "Gli strumenti del comunicare" di Marshall McLuhan, ed. il Saggiatore, Milano (ed. originale 1964). POUSSEUR H. (1976) La musica elettronica, Feltrinelli, Milano. SATIE E. (1980) Quaderni di un mammifero, Adelphi, Milano. SCHAFER M. R. (1985) Il Paesaggio Sonoro, Ricordi-Lim, Milano (ed. originale 1977). STUDIO AZZURRO (2007) Videoambienti, ambienti sensibili e altre esperienze tra arte, cinema, teatro e musica, Feltrinelli, Milano. STUDIO AZZURRO (2010) Musei di narrazione, Silvana editore, Milano. VARÈSE E. (1985) Il suono organizzato, Ricordi-Unicopli, Milano (ed. originale 1983). Opere citate Megalopoli Videoinstallazione sincronizzata per 39 schermi Progetto: Studio Azzurro (Paolo Rosa, Leonardo Sangiorgi, Stefano Roveda e Alina Marazzi) Musica e sound design: Tangatamanu (Alberto Morelli e Stefano Scarani) Produzione: Studio Azzurro per Biennale di Venezia Prima presentazione: "Less Aestetic, more Ethics"-VII Biennale architettura-Venezia 2000 Risveglio di una città Opera musicale per intonarumori di Luigi Russolo scritta nel 1913. Ne rimane un frammento, le prime sette battute, che è stato eseguito e registrato alla Biennale di Venezia nel 1977. Poéme électronique Opera multimediale realizzata per l'Expo di Bruxelles / Padiglione Philips Progetto: Le Corbusier Assistente al progetto: Yannis Xenakis Musica: Edgar Varèse Prima presentazione: Bruxelles 1958 Il Sentiero Sonoro Videoinstallazione interattiva per 11 tripodi sensibili Progetto: Studio Azzurro (Leonardo Sangiorgi) Musica e sound design: Tangatamanu (Alberto Morelli e Stefano Scarani) Consulenza scientifica: Prof Piero Bartoloni Consulenza Archeomusicologica: Emiliano Licastro Produzione: Studio Azzurro per Regione Autonoma della Sardegna e Comune di Santadi Visitabile presso il sito archeologico di Pani Loriga, Comune di Santadi (Cagliari) dal 2010 Music for Airports Opera musicale di Brian Eno, pubblicata nel 1978 e concepita come flusso inclusivo dei suoni residenti in un aeroporto. Music for Airport da il via al genere definito "Ambient Music", la cui matrice è da rinvenire nella Musique d'Ameublement di Eric Satie. 4'33" Composizione di John Cage del 1952, "silenziosa" ed inclusiva, pensata per aprire la musica al flusso sonoro dell'ambiente circostante. Merzbild e Ready Made Serie di opere visive rispettivamente di Kurt Schwitters e di Marcel Duchamp, realizzate nella prima metà del secolo scorso, i cui elementi compositivi erano materiali di recupero, rifiuti e scarti della quotidianità, un'arte dei detriti basata sull'assemblaggio di materiali dimenticati che attraverso il gesto creativo assumevano nuovo valore e nuova vita. Il Bosco Videoinstallazione interattiva per un prato vero e cinque alberi sintetici Progetto: Studio Azzurro (Leonardo Sangiorgi, Fabio Cirifino, Stefano Roveda) Progetto informatico: Orf Quarenghi Musica e sound design: Tangatamanu (Alberto Morelli e Stefano Scarani) Produzione: Studio Azzurro per Regione Trentino Prima presentazione: Expo Hannover 2000 |